L’Italia ha il suo (inaspettato) Trump

Piaccia o meno, è Matteo Salvini il vero vincitore di queste elezioni.

Lo so, lo so che il Movimento 5 Stelle ha preso quasi il doppio dei voti, e che sono quindi i “grillini” il primo partito d’Italia. Ma questo – seppur magari in dimensioni differenti – era un risultato ampiamente atteso. Lo era, invece, decisamente meno che il “Capitano” portasse la Lega a tre risultati storici, che non erano riusciti nemmeno al miglior Umberto Bossi o a Bobo Maroni. Salvini, infatti, ha portato la Lega oltre il 15% (al 17,4, per l’esattezza), centrando una buona affermazione anche al centro-sud, e scavalcando Forza Italia (ferma al 14%) all’interno della coalizione di centrodestra.

Il risultato è che, almeno sulla carta, Matteo Salvini è il premier in pectore della principale forza parlamentare eletta a Roma con il voto del 4 marzo.

Come ci è riuscito? Capendo meglio di altri come, cosa dire e quando dirlo.

Da un punto di vista “formale”, quella di Salvini non è stata una campagna elettorale grandiosa: ci sono state promesse elettorali ben più roboanti delle sue, ci sono state presenze sui media “tradizionali” ben più pesanti della sua, e sembrava che più protesta potesse assorbire il Movimento 5 Stelle, tanta meno ne sarebbe rimasta a lui.

Eppure…

Merito di un’impostazione “alla Trump”, studiata, ragionata, scientifica, fatta innanzitutto presidiando più e meglio di tanti altri il luogo dove la protesta trova il suo massimo sfogo: i social media. Specie Facebook, notoriamente preferito dalle “masse popolari” rispetto a Twitter e altri. Lì, in bilico tra virtuale e reale, ha saputo calibrare il suo messaggio, impostandolo su pochi concetti, ma chiari e netti, e tralasciandone altri che potevano rivelarsi “scivolosi”.

Ecco, ad esempio, meno proclami sul “basta Europa, basta Euro”. Meno tasse e meno immigrazione, le stesse parole d’ordine di Trump. E in quest’ordine, si badi bene. E non è un caso se comunque la Lega, nonostante la svolta nazionale e l’abbandono (definitivo?) della parola “Nord”, abbia trionfato soprattutto nel Settentrione.

Certo, è ovvio che al Sud permanesse una certa diffidenza verso qualcuno che, fino al giorno prima, diceva peste e corna del Meridione e dei suoi abitanti. Ma la differenza l’ha fatta altro: non ci vuole certo Einstein, per capire che i primi a vivere il problema dei flussi migratori sono le aree del Mezzogiorno, dove avvengono gli sbarchi. Ma al Sud hanno stravinto i “grillini”, che sul tema immigrazione non sono certo stati chiari e fermi come Salvini.

In compenso, i pentastellati hanno fatto proposte socioeconomiche di un certo tipo, diciamo pure con tendenze assistenzialistiche. E in un’area dove la povertà si fa sentire di più e le opportunità lavorative sempre meno, era normale che la cosa potesse attecchire.

Questo spiega, appunto, come la questione tasse/economia sia ancora di gran lunga la più sentita, nonostante per mesi lo “spauracchio” dell’immigrazione “cattiva”, ed ecco perché Matteo Salvini ha – saggiamente – parlato soprattutto di soldi, senza ovviamente dimenticare quello che comunque rimane un suo cavallo di battaglia, e che è comunque un tema mainstream.

Il successo di Matteo Salvini nel fare suoi questi temi, lo dimostrano anche i risultati degli alleati: Berlusconi sulla flat tax è stato prudente, ha balbettato di un mezzo condono e pensava anche lui a una “mancetta”, ma senza la convinzione del Movimento (e, infatti, al Sud, Forza Italia non è più il carrarmato di un tempo). Mentre Giorgia Meloni non è mai riuscita ad uscire dal “cono d’ombra” di Salvini, ferma all’ormai stantio sostegno alle Forze dell’Ordine, e infatti finita quasi un punto sotto a quel 5% che tutti i sondaggi le davano come base di partenza.

Centrati in pieno gli obiettivi della “Fase uno”, ora Salvini ha due altre tappe: provare a conquistare Palazzo Chigi e lanciare l’Opa definitiva sul centrodestra, con l’obiettivo a medio periodo magari di arrivare alla versione italiana del Partito Repubblicano USA. Ovviamente a guida salviniana. Ci riuscisse, considerando i problemi che ha Trump nei rapporti con il “suo” partito, toccherebbe dire che l’allievo The Matteo ha superato il maestro The Donald.

matteo spigolon

MATTEO SPIGOLON

12 anni di esperienza politica sul campo, oltre a competenze di comunicazione e marketing politico. A differenza delle tradizionali agenzie, i cui consulenti non hanno mai fatto politica attiva e non hanno mai distribuito nemmeno un volantino, conosco esattamente i meccanismi interni della politica, le cose che funzionano e quelle che non funzionano, avendo vissuto in prima persona queste esperienze.

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